Mettendo sullo stesso piano oppressi e oppressori i paesi imperialisti e l’Onu in realtà appoggiano il massacro perpetrato da Israele
La notte tra il 27 e il 28 dicembre l’aviazione israeliana ha scatenato l’operazione Piombo fuso, una delle più sanguinose dal 1967. Le vittime degli attacchi aerei su Gaza e Rafah superano già i 400 morti e 2000 feriti. Il governo israeliano ha lanciato una offensiva terrestre convocando migliaia di riservisti. Questa carneficina presentata come una risposta al lancio dei missili di Hamas non è soltanto una reazione funzionale alla campagna elettorale in corso in Israele, ma risponde a un piano previsto da molto tempo per schiacciare definitivamente la resistenza del popolo palestinese. Un piano messo in atto con il nulla osta della cosiddetta comunità internazionale, dell’Onu, dei paesi imperialisti, come anche dell’Arabia Saudita, del Qatar, dello Yemen e del Kuwait che hanno cominciato a normalizzare i rapporti con lo stato occupante sionista nonostante le proteste formali espresse in seguito all’inizio dell’attacco dell’esercito israeliano.
Gaza: un vero e proprio ghetto
Da anni Gaza sopravvive come un vero e proprio ghetto. Uno spietato isolamento economico, politico e culturale la separa dal mondo. Un milione e mezzo di abitanti prigionieri dell’esercito israeliano e privati di tutto: alimenti, combustibile, elettricitàà , medicine, materiale per la scuola. La popolazione sotto il giogo di un’oppressione coloniale barbarica da sessant’anni subisce questo feroce “castigo” collettivo per aver commesso il delitto di votare democraticamente per Hamas. Condotta in questi termini l’oppressione di Gaza prefigura la distruzione totale della Palestina. E’ una morte lenta quella che soffrono i palestinesi nella striscia di gaza. Quasi l’80 % della popolazione vive sotto la soglia di povertà e il tasso di disoccupazione raggiunge il 65%. Lo stipendio annuo è di 443 euro all’anno, ovvero 1,36 euro al giorno. Il 60% dei bambini soffrono di denutrizione. La libertà di circolazione tra la striscia di Gaza, la Cisgiordania, Gerusalemme e il mondo esterno, è impedita. Circa 260 persone sono morte durante lo scorso anno per mancanza di medicinali e perché impossibilitate a uscire dal territorio. L’unica fabbrica di medicinali è ferma per la mancanza di materie prime. Più di 1500 containers di materie prime sono bloccati nei porti israeliani. I progetti di costruzione e sviluppo di strutture sanitarie e istituti scolastici sono stati sospesi. Le interruzioni di elettricità sono quotidiane.
Questa barbarie può essere portata avanti solo grazie all’impunità totale garantita a Israele e all’appoggio attivo di cui quest’ultimo ha beneficiato da parte dell’Unione europea. Nicolas Sarkozy ex presidente dell’UE ha imposto “l’intensificazione della cooperazione con l’UE” l’8 dicembre scorso, valorizzando le relazioni politiche tra UE e Israele, permettendo una partecipazione più ampia dello stato sionista nei programmi comunitari europei. Concedendo un tale privilegio a uno stato che porta avanti una politica espansionista, colonizzando nuovi territori palestinesi, saccheggiandoli, ghettizzandoli e assassinando la popolazione, Sarkozy ha dato carta bianca ai falchi israeliani e su di lui pende una responsabilità pesante per questo nuovo crimine di guerra di Israele.
Dopo aver perpetrato l’omicidio di massa, queste brave persone sembrano disperarsi per le sorti di Gaza. M. Abbas ha denunciato l’offensiva israeliana, pur essendo uno dei primi responsabili della situazione in cui vivono attualmente i palestinesi, stante la collaborazione del presidente Abu Mazen con Israele e la fedeltà dimostrata ai progetti imperialisti. Israele infatti non si avvale solo del suo esercito ma anche della codardia e della doppiezza dei governi arabi, i quali da un lato rilasciano dichiarazioni contro gli attacchi di Gaza e dall’altra accusano Hamas per la guerra. E’ il caso del ministro degli esteri saudita, il principe Saud al-Faisal che ha criticato i palestinesi per non essersi schierati con il presidente Abu Mazen. Questi è stato lo strumento utilizzato dagli Usa e da Israele per indebolire Hamas dopo la vittoria delle elezioni nel 2006. Per questo il richiamo saudita all’unità è un tentativo di isolare Hamas, simile agli sforzi del governo egiziano che ha collaborato chiudendo le proprie frontiere con Gaza e rafforzando in questo modo il blocco economico di Israele. Il segretario generale dell’ONU Ban Ki-Moon si dichiara profondamente inquieto e ha chiamato a un cessate il fuoco immediato: mettendo sullo stesso piano gli oppressori e le vittime l’Onu si dimostra ancora una volta fedele strumento di tutti gli imperialismi e di tutti colonialismi. Gli Usa hanno chiesto a Israele di non causare vittime tra i civili, mentre chiede ad Hamas di cessare il lancio di missili perché finiscano le violenze. Sarkozy nel frattempo si agita, mentre Kouchner ripete letteralmente la dichiarazione degli USA.
La strategia di Israele e le difficoltà nel conseguimento dei suoi obiettivi reazionari
Lo stato di Israele sta utilizzando questo conflitto per riabilitare la sua forza di dissuasione militare in Medio oriente danneggiata dopo la disfatta nella guerra in Libano del 2006. Il suo obiettivo è mostrare che Hamas si espone a una vendetta implacabile continuando il lancio dei razzi. La devastazione di Gaza è anche un avvertimento alle milizie sciite di Hezbollah e all’Iran. Il governo di coalizione israeliano composto da Kadima e dal partito Laburista, i due partiti che, insieme al Likud, si disputeranno nel corso delle prossime elezioni di febbraio, intende approfittare dell’attuale transizione americana per forzare la mano al suo principale alleato e agire in piena impunità , scatenando un offensiva brutale e esemplare contro il popolo palestinese e i paesi della regione, tanto quelli più apertamente filoisraeliani, quanto quelli che mantengono una linea dura nei confronti di Tel Aviv.
Nonostante la consistenza dell’attacco lanciato questi primi cinque giorni, la strategia israeliana potrebbe dimostrarsi più complicata del previsto. Il lancio di missili da parte di Hamas continua. Visto che l’assalto aereo non ha raggiunto i suoi obbiettivi Israele ha dovuto lanciare un’offensiva terrestre che potrebbe avere costi umani importanti per le truppe. Una guerra d’usura in un territorio così densamente popolato come la striscia di Gaza potrebbe dare vantaggio alle capacità militari di una forza irregolare e numerosa come Hamas e va a scapito di Tsahal estremamente performante da un punto di vista tecnologico ma limitato nell’uso della forze di terra. Questo è stato già dimostrato dalla ritirata israeliana dal Libano e a questo si devono i dubbi e i tentennamenti manifestati dal primo ministro Ehud Olmert, già in occasione della campagna militare in Libano del 2006 che ha portato alla prima ritirata della storia israeliana.
In questo contesto nonostante il clima politico in Israele tenda fortemente a destra, le vie d’uscita strategiche per Israele non sono facili. La decisione del governo la settimana scorsa permette la rioccupazione di Gaza e la consegna di quest’ultima all’ ANP di Abbas o direttamente oppure a traverso una forza internazionale o panaraba, come prosecuzione del fraudolento processo di pace di Annapolis. Questa ipotesi è stata suggerita dal candidato del Likud B. Netanyahu che ha parlato di “eliminazione del regime di Hamas a lungo termine”. Eppure una simile operazione era fallita in Libano nel 1982 quando Israele volle imporre i suoi alleati locali. Da parte sua Abbas a dispetto del ruolo traditore degli interessi palestinesi con Israele non potrebbe tornare a Gaza a bordo di un tank israeliano e se lo facesse andrebbe incontro a grossi problemi di governo.
Un’altra alternativa che si ipotizza è quella che presumibilmente piacerebbe all’uomo forte del momento, il ministro della difesa Ehud Barak che vorrebbe arrivare al cessate il fuoco dopo aver dato una lezione ad Hamas. Ma questa possibilità , come con Hezbollah in Libano darebbe comunque legittimità a Hamas che continuerebbe governare Gaza. La terza ipotesi -portare a termine il piano di ritiro dell’ex primo ministro Sharon, liberandosi della responsabilità della Striscia scaricandola sull’Egitto, incaricato di provvedere risorse e rifornimenti. I settori vicini alla ministra degli esteri Tzipi Livni che cercano il sostegno internazionale favorirebbero questa possibilità convinti che Gaza più che un attivo è un fardello pesante per la sopravvivenza di Israele. Però questa ipotesi potrebbe essere un carico non indifferente per il Cairo poiché complicherebbe fortemente i rapporti con Israele in un periodo molto delicato segnato dal declino del regime di H. Mubarak, e complicato dalla crisi economica, dalla resistenza operaia degli ultimi anni e dall’opposizione islamista. Nonostante l’attacco d’esordio Israele non troverà facilmente una via d’uscita per il problema del confine sud, compito che il governo attuale, con una classe politica israeliana divisa, le elezioni che si avvicinano e il cambio di governo a Washington, non potrà risolvere lasciandola come una pesante eredità al nuovo governo dopo le elezioni.
Lo stato di Israele razzista e colonialista
Storicamente è dato inconfutabile: lo stato di Israele è fondato sul razzismo e sul colonialismo. Era il 1885 quando Herzl progettò “la colonizzazione della Palestina” e la creazione di un “patria nazionale ebraica”. Decretò che “il popolo di Israele, popolo superiore e continuatore moderno del Popolo Eletto, doveva convertirsi anche in un’istituzione reale” e per far questo, sarebbe stato necessario rendere servizio “allo Stato imperialista che avesse protetto la sua esistenza”. Il razzismo e il colonialismo israeliani sono i fondamenti di uno stato che non si definisce in relazione a una nazione, ma a una religione e a un’etnia. Uno stato che afferma il diritto del suo popolo all’appropriazione esclusiva di una terra già abitata da altri popoli. I testi fondatori del sionismo aiutano a chiarire la politica attuale. Quando Herzl nel 1897 si rivolse al governo francese con la speranza di ottenere il suo appoggio per la costituzione di Israele scrisse: “Il paese che intendiamo occupare includerà il basso Egitto, il sud della Siria e la parte meridionale del Libano. Questa posizione ci renderà padroni del commercio indiano, arabo e dell’Africa orientale e meridionale. La Francia non può avere altro desiderio che vedere le rotte del commercio indiano e cinese occupate da un popolo disposto a seguirla fino alla morte”. Gli accordi Sykes-Picot faranno identiche promesse alla Gran Bretagna. Il processo era lanciato. I paesi imperialisti avrebbero utilizzato la mostruosa politica dell’Olocausto come giustificazione per portarlo a termine.
Israele rappresenta così in Medio oriente quello che il Sudafrica dell’Apartheid rappresentava per l’Africa australe: una colonia che impone alle popolazioni autoctone una dominazione connotata in senso razzista, la cui esistenza non sarebbe possibile senza l’aiuto delle potenze imperialiste “in cambio dei servizi prestati” in questo caso agli Stati Uniti e ai paesi dell’Unione Europea.
Quando un governo giudica che la vita di un soldato israeliano è più importante di quella di cento bambini e civili palestinesi, lo Stato rappresentato da questo governo è uno stato razzista. Quando le forze armate nei territori occupati illegittimamente proibiscono ai civili di spostarsi, di andare a prendere l’acqua dai pozzi e dalle fonti, di lavorare nei campi, visitare le proprie famiglie, andare a scuola o al lavoro, transitare da un villaggio a un altro, portare soccorso medico ai bambini malati, lo stato rappresentato da questo governo è uno stato razzista e colonialista. Quando il governo sionista costruisce il muro della vergogna per chiudere in un ghetto il popolo palestinese, rade al suolo case e oliveti, caccia, espelle, imprigiona, tortura, affama, questo governo e il suo esercito appartengono ad uno stato razzista e colonialista.
Tzipi Livni, ministra degli Esteri di Israele dipinge a chiare lettere la sua visione futura dello Stato ebraico: uno Stato puramente ebraico, senza palestinesi, il che manifesta esplicitamente la volontà di espellere i palestinesi dalle loro terre e dalle loro proprietà , in Cisgiordania e nella striscia di Gaza o altrove. Non è la prima volta che Livni fa una simile profezia e non è la prima dirigente politica israeliana a farlo, Golda Meyer aveva fatto lo stesso. Quel che c’è di nuovo è che annunci del genere si ripetono continuamente. La ripetizione di tali proposte ambisce a farle parere normali e logiche (Stato ebraico democratico= espulsione dei Palestinesi = pulizia etnica) e chiarisce il significato del messaggio a tutti coloro i quali finora non ne abbiano compreso il sogno sionista. I dirigenti israeliani non teorizzano la pulizia etnica, la praticano concretamente sul campo.
Per questo l’ipotesi della soluzione dei due Stati diventa sempre più insostenibile a causa della colonizzazione sionista e dell’appoggio che riceve da tutti gli imperialismi. Lo Stato israeliano non accetterà di abbandonare i suoi obbiettivi colonialisti e espansionisti e non permetterà mai la creazione di uno Stato palestinese che consti della totalità dei territori occupati e con Gerusalemme come capitale, non consentirà la liberazione di tutti i prigionieri politici e il ritorno dei rifugiati. Mai ci sarà pace finché lo stato teocratico, colonialista, razzista di Israele che pratica l’apartheid e la pulizia etnica non sarà abolito.
Viva la resistenza dei palestinesi! Fronte unico delle organizzazione operaie e antiimperialiste per appoggiarla combattendo l’oppressione sionista e imperialista!
Noi rivoluzionari appoggiamo incondizionatamente le forze di resistenza palestinesi contro l’aggressione sionista, schierandoci militarmente dalla parte dei Palestinesi contro l’esercito israeliano e lottiamo per la sconfitta di Israele nell’attuale guerra di Gaza. Da questa posizione di principio anticolonialista e antimperialista riteniamo che la politica di Hamas, nonostante la resistenza armata contro Israele, conduce la lotta di liberazione nazionale a un vicolo cieco: lottando per uno stato teocratico Hamas taglia fuori una gran parte del popolo palestinese, laico, cristiano, e musulmano non fondamentalista. Allo stesso tempo Hamas sostiene la possibilità di negoziare con la borghesia locale e gli Stati arabi reazionari della regione, dai nemici di Washington come la Siria e l’Iran, fino ai più filoamericani come l’Arabia Saudita e l’Egitto. Hamas non ha fiducia nell’azione indipendente delle masse, in particolare nella mobilizzazione indipendente della classe operaia araba, a differenza di una direzione rivoluzionaria, l’unica che con la sua azione potrebbe sconfiggere lo stato di Israele. Solo organizzandosi in modo indipendente da tutte le forze borghesi e piccolo-borghesi, incapaci di portare avanti una lotta vittoriosa contro il progetto israeliano, per paura di lasciar libere di agire forze che non potrebbero controllare, solo così la classe operaia palestinese potrà essere il motore di una lotta nazionale vittoriosa e di conseguenza una lotta rivoluzionaria per la conquista delle sue rivendicazioni sociali.
Una lotta simile può aver esito solo unendosi alla classe operaia degli altri paesi della regione, in particolare alla classe operaia egiziana che negli ultimi anni ha lottato contro il regime autocratico di Mubarak e anche alla classe operaia di Israele dove i lavoratori ebrei sfruttati devono rompere anzitutto con il sionismo. Soltanto così sarà possibile costruire uno stato palestinese laico, democratico e non razzista, ipotizzabile solo in una Palestina operaia e socialista in cui possano vivere in pace arabi e ebrei, su tutto il territorio della Palestina storica che comprende la regione attualmente occupata da Israele e insieme Gaza e Cisgiordania, nella prospettiva di una Federazione delle Repubbliche socialiste del Medio Oriente.
I lavoratori e gli sfruttati del mondo intero devono appoggiare incondizionatamente la resistenza palestinese, la sua legittima battaglia per i diritti nazionali contro la colonizzazione sionista delle sue terre, per il diritto al ritorno di tutti quelli che sono stati espulsi dal 1948, per il diritto a scegliere liberamente i propri rappresentanti, per esigere la fine di tutti gli attacchi dello stato israeliano, l’abolizione immediata e incondizionata dell’embargo che assassina il popolo palestinese e la apertura immediata della frontiera tra l’Egitto e Gaza.
La lotta contro l’imperialismo e il suo braccio armato israeliano è un dovere per l’insieme delle organizzazioni che si richiamano al movimento operaio e alla lotta antimperialista: il loro compito è quello di organizzare immediatamente una mobilitazione di massa dei lavoratori nei vari paesi per esigere la fine degli attacchi e del saccheggio da parte di Israele. Per i rivoluzionari dei paesi imperialisti in cui la FT è presente questa solidarietà antimperialista significa allo stesso tempo lotta contro Sarkozy, Zapatero, Merkel e i partiti di destra e tutte le cosiddette forze di sinistra che sono di fatto complici di Israele. Da quei paesi come Bolivia, Venezuela, Argentina e Brasile, i cui governi si dicono progressisti, esigiamo la immediata rottura delle relazioni diplomatiche con lo stato sionista, insieme al ritiro immediato delle truppe sudamericane dei paesi che partecipano all’occupazione militare a Haiti.
Facciamo parte delle numerose organizzazioni che stanno dando vita a manifestazioni e azioni di massa contro il massacro sionista. Facciamo crescere e rendiamo più combattiva la solidarietà internazionalista con il popolo palestinese.
FrazioneTrotzkista-Quarta Internazionale
03-01-09
Argentina: PTS (Partido de los Trabajadores Socialistas); Bolivia: LOR-CI (Liga Obrera Revolucionaria por la Cuarta Internacional); Brasile: LER-QI (Liga Estratégia Revolucionária); Cile: CCC (Clase contra Clase); Costa Rica: LRS (Liga de la Revolución Socialista); Messico: LTS-CC (Liga de Trabajadores por el Socialismo - Contra Corriente); Stato spagnolo: CCC (Clase contra Clase); Venezuela: LTS (Liga de Trabajadores por el Socialismo); Francia: Groupe CRI (Groupe Communiste Révolutionnaire Internationaliste), sezione simpatizante.
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